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“L’esistenzialismo positivo” del filosofo salernitano Nicola Abbagnano. La recensione di Agostino Ingenito

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Salerno ha un ruolo di primo piano nel contesto culturale internazionale ma spesso ignora o trascura il valore di eminenti suoi figli capaci di incidere non poco sull’evoluzione del pensiero filosofico e pedagogico del Novecento come nel caso di Nicola Abbagnano. A 121 anni dalla nascita ( era nato a Salerno il 15 luglio 1901) il suo innovativo “esistenzialismo positivo” e le sue eccezionali considerazioni sulla ricerca umana della verità sono al centro del dibattito internazionale e di studio nelle più importanti accademie del pensiero . La vita umana è relazione, possibilità, opportunità; non più determinazione sistematica, meccanicismo, “negatività”. Questi alcuni concetti espressi nei testi dell’eclettico docente universitario capace di vincere importanti sfide professionali e culturali, in un ‘Italia attraversata da due guerre e difficoltà ma in grado di riaffermare la sua identità e ruolo sulla scena internazionale. Il salernitano Abbagnano si muove con disinvoltura in un contesto non certo agevole riuscendo e con successo ad ottenere importantissimi riconoscimenti e non solo culturali ma incidendo in città come Milano, Torino, Genova e dialogando da protagonista con esponenti di caratura mondiale. L’innovazione filosofica neo positivista di Abbagnano riesce a sovvertire correnti di negazione, dando vita ad un nuovo esistenzialismo. Per Abbagnano e’ l’indeterminazione dell’esistenza che ci rende realmente liberi. Noi, individui singoli, ci troviamo piombati in questa vita oscura e a tratti spaurente. Un problema che rintraccia la facoltà di riconoscere in noi un ruolo comprensibile. Ma, è questo problema solamente dovuto ad un’ignoranza casuale, o invece questa instabilità e precarietà naturale è essa stessa parte di un divenire? Essere liberi è una fedeltà volontaria a sé stessi. Così afferma nel suo libro più noto “La struttura dell’esistenza” (1939) Abbagnano si confronta con pensatori tedeschi e francesi, elabora e struttura un neo illuminismo del filosofare non più astrazione ma sostanza, capace di trascendere e al contempo scegliere. Il suo è un esistenzialismo “positivo”, teso ad evitare “la negazione della possibilità dell’esistenza e della sua libertà finita”. Negli anni del dopoguerra Abbagnano indirizza i suoi interessi per un’accezione di neopositivismo contrassegnato da un clima di rinnovamento e incentrato in una analisi “neoilluministica” della scienza. Egli si occupa densamente di pubblicazioni di carattere storico-filosofico e, negli ultimi anni, soprattutto d’intervento su quotidiani nazionali. Per Abbagnano il filosofare è coesivo all’esistere in sé, non s’esiste senza filosofare. Il senso ampio del filosofare è l’attività di un’intelligenza del vivere, d’un porsi domande e d’un sapersene procacciare la strada risolutiva. In primo luogo la filosofia esistenziale è riferibile esclusivamente all’individuo. Ognuno, nel filosofare, non può che parlare in prima persona. Una filosofia amena all’universalità astratta della scienza e protesa in una polemica nei riguardi del pensiero sistematico, sulla scia dell’anti-hegelismo di Kierkegaard. L’indeterminazione problematica dell’esistenza si manifesta nella quotidianità di ciascun uomo. Ogni volta che si compie un’azione, si opta per la scelta, esiste sempre un’indeterminazione implicita nel risultato. Si tratta di un problema omnicomprensivo e la precarietà del successo permane in qualsivoglia contesto dell’esistenza. Nell’azione esistenziale sussiste sempre la probabilità-che-si e la probabilità-che-no. Ed ecco che Abbagnano tra i sette capitoli del suo eccezionale testo introduce il tema della “struttura”:l’individuo decide del proprio finito destino, della sua trascendenza. Che però non può che essere “sostanza”. L’esistenza è rapporto di ricerca, inseguimento dell’essere che è in ognuno di noi. Il movimento verso l’essere scaturisce da un nulla iniziale. Nella vita però l’essere non si raggiunge mai definitivamente e dunque non vi è né una adesione concreta all’essere né un effettivo distaccamento dal nulla di partenza. È davvero poi sorprendente la considerazione di arte come appello all’umanità. “È artista o intende l’arte soltanto l’uomo che non lascia inascoltato l’appello alla sua umanità. La connessione tra l’uomo e il mondo viene nell’arte ricondotta alla sua condizione trascendentale. […] La considerazione dell’arte mette, così, ancora una volta, ciascuno di noi di fronte alla propria responsabilità di uomo. Il problema dell’arte impegna ciascuno direttamente ed integralmente. Ciascuno di noi è chiamato ad affrontarlo nell’atto che decide di sé e del proprio destino. Ciascuno deve risolverlo per sé, ciascuno per tutti”. Il laico Nicola Abbagnano offre considerazioni notevoli sulla tanto ricercata verità. Ritenuta l’espressione astratta e simbolica di un dato istante della vita; e come questa non è mai uguale a se stessa ma si trasforma in un moto che non ha riposo, così pure quel suo aspetto correlativo muta secondo il ritmo di essa. (da Le sorgenti irrazionali del pensiero, F. Perrella, Genova – Napoli – Firenze – Città di Castello, 1923)

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